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Potosi, città Patrimonio dell`Umanita`.Potosi, città di quella foto mancata di donna col bambino. Potosi, la città più alta del mondo con i suoi 4000m di quota. Potosi, città dove le auto, anche di notte, spesso vanno in folle e a fari spenti, in discesa, per spendere meno. Potosi città del Liceo per senoritas "Sucre" dove mi hanno costretto ad assistere ad una rappresentazione poetica. Potosi dove gli innumerevoli studi di "abogado" (avvocato) danno direttamente sulla strada. Guardi dentro e ci trovi la televisione per intrattenere i clienti (seduti sul divano),il telefono a un boliviano per le telefonate urbane (business alternativo), l`avvocato che legge il giornale, oppure l`avvocato che parla con due clienti, mentre gli altri aspettano. Tutto nella stessa stanza. La stanza con la porta spalancata sulla strada. Assistenze in cause legali vendute al dettaglio, un tanto al kg,come i pomodori. Potosi che con i flussi d`argento delle sue miniere ha acceso il capitalismo europeo sul finire del xvi sec. Potosi citta`delle miniere. Oggi, come allora. E non e`una pubblicità, purtroppo. Le miniere a Potosi non sono più un business redditizio, non lo sono più dalla fine del `700, quando si era esaurita l`inesauribile vena d`argento; non lo sono state neanche quando si sono scoperti giacimenti di stagno,troppo costoso da estrarre. Lo Stato ha licenziato in modo massiccio, e lo Stato ha però anche dato la possibilità ai minatori di riunirsi in cooperative private, affinchè queste potessero estrarre e sfruttare da sole le briciole di una fortuna passata, ormai finita. Queste briciole si chiamano "compleco", un insieme di rame, zinco, pirite, argento...racchiusi in uno scrigno di roccia. A tonnellate viene picconata, raccolta, trasportata, sbriciolata e divisa dal minerale, che, polverizzato, viene poi inviato in sacchi all`estero, per la separazione e la lavorazione. Parte di quel minerale rientrerà in Bolivia, rivenduto al produttore a costi altissimi. Sì perchè a Potosi la raffinazione non si puo fare, lo scarso materiale non giustifica l`acquisto di costose macchine per la lavorazione. Potosi 1550 - Potosi 2004. Prima di entrare nella miniera, in un giorno di lavoro, io come altri ho deciso di acquistare per i minatori generi di prima necessità, da regalare. Ho fatto spesa nel loro mercato: bibite, sigarette senza filtro, dinamite, alcool potabile, micce. Articoli esotici che talvolta in Italia è difficile reperire nel supermercato dietro casa. E poi con la tuta e il casco siamo arrivati all`ingresso della miniera. Un buco nero. Profondo. E il contrasto giorno-notte, luce-buio è uno dei primi a impressionare. Si cammina in fila indiana sulle rotaie, fintanto che una luce fioca all`orizzonte non indica il passaggio di carrelli che vanno verso l`uscita a tutta birra. I minatori aggrappati come su un ottovolante. Allora si salta di lato, dove si trova spazio. Si pestano i piedi nel terreno bagnato, il caldo diventa pesante, le pareti di roccia umida appiccicano addosso una pellicola bianco-giallastra. Le gallerie sono profonde, avanzare dritto per me è difficile, diventa impossibile ai livelli inferiori. Ogni tanto ci si ferma a sedere, siamo a più di 4000m e l`aria già è difficile; la polvere, o meglio,le polveri,peggiorano le cose. Eravamo al secondo livello; chiedo ai pochi compagni e alla guida, ex minatore, di fare silenzio. In lontananza qualche rumore di picconi o di manovre di carico. Poi chiedo di spegnere tutte le luci frontali. Lo facciamo. Qualcuno prende paura. Un mondo di tenebra nelle viscere della terra. Giù, giù, in profondità, col pensiero che qualcosa possa andare storto. Riaccendiamo le luci, si scende ancora, chinati, carponi, strisciando, talvolta contorcendosi per passare. Eravamo partiti in 8, siamo rimasti in 3, gli altri vengono riaccompagnati in superficie. Si scende ancora. I minatori che scavano e caricano sono li´. Sudati fradici, impolverati, neri, con le guance cariche di coca. Qualcuno avrà 16 anni, qualcuno la mia età, qualcuno 10 anni di più. Non ci sono anziani. Non si diventa anziani in miniera. L´età della pensione non è quella dei 57 anni con 35 di contributi versati; diciamo che qui è variabile, ecco, dipende dal fisico. Si calcola in base al deficit polmonare dovuto alla silicosi. Lo so io, lo sanno loro. Qualcuno tossisce, tossirà sempre di più. Li guardo, cerco di parlare con qualcuno di loro. I loro visi, consapevoli, sono sereni. Uomini di poche parole, tra loro si capiscono con sillabe secche, quasi rumori, con me si aprono un po´di più. Mi rivolgo a un minatore che sta forando la montagna con una specie di scalpello,per potervi inserire, in serata, della dinamite. Il più difficile da raggiungere. Striscio, spacco la tuta, mi buco le mani, divento lercio. Quando arrivo da lui, mi guarda, lo guardo, tra di noi non c´e´più differenza. Mi sorride e ci presentiamo. Parliamo, e´una persona abbastanza colta. Gli chiedo secco perchè lo fa, perchè scava la montagna come 450 anni fa e 8 milioni di indios e neri morti prima di lui. Forse perchè il nonno e il padre erano minatori? Perchèil fratello e´ minatore? Per orgoglio di famiglia?No,lo fa per soldi. Ha 4 figli da mandare a scuola e fare il minatore gli rende più che gestire un internet point in paese. Nella vena buona, quella che ti sistema per tutta la vita, non ci crede più ,mi dice. Lo guardo e so che non è vero. Vicino a lui tante pietre spaccate. Andranno ad ingrossare, lentamente, i sacchi di compleco per le multinazionali. Mentre saluto e sto per andarmene vedo delle rocce piccole, lucenti, appoggiate dentro la sua maglietta. Lo guardo: "compleco,ma con una buona percentuale di argento". Le vendera´al kilo. La vena buona?Gli sorrido e ritorno dalla guida per guadagnare l´uscita. Quando stai per entrare in una miniera vedi una palla nera nella luce del giorno. E'triste. Quando stai per uscire vedi una palla gialla nel buio della notte. Ed è davvero bello. Esco e sono fradicio di sudore, mi tolgo il caschetto e mi frugo nelle tasche. Riguardo le pietre che avevo raccolto al livello inferiore, ricordo di quel mondo sotterraneo. Il mio orologio segna le 14.30, vado al pulmino. I minatori, la´ sotto, ne avranno ancora per tre ore, oggi, domani, dopodomani,... La miniera è un mondo affascinante e a suo modo romantico. La miniera è un mondo orribile. Scegliete voi
Stavamo andando a letto dopo una allegra serata al ristorante. Ci aspettava una bella dormita prima del pullman per Potosi,la mattina seguente,di buon`ora. Abbiamo sentito una musica e l`abbiamo seguita. Zona stazione, case popolari, due casse che gracchiavano col volume al massimo. Nessuno prestava più attenzione, ma se c`era stata una festa non doveva essere finita da molto. Vedo un cortile aperto, una casa illuminata, qualcuno che chiacchiera appena fuori la porta. Chiedo agli amici di aspettarmi un attimo, vado a prendere informazioni. Sì, qualcosa c`era stato, non riesco ad avere un`idea delle dimensioni e del tipo di evento; io e i due signori non riusciamo a capirci perfettamente. Una donna fa capolino da dentro, la vedo, vado a fare altre domande. Si parla anche del più e del meno, chi sono, cosa ci faccio lì, e tra un più, un meno, e un altro più mi viene anche offerto un bicchiere di liquore. Il primo. Nel frattempo gli amici mi hanno raggiunto, la signora ci guarda, ci giudica, ci invita ad entrare. E spiega. Stanno preparando la Festa della Vergine di Cochabamba, del 25 di agosto. Le persone sedute in circolo, lineamenti indios, ci guardano incuriosite e fanno cenno; ci sediamo. Di fronte a me una specie di superilluminato altare con l`immagine della Vergine e tanti ninnoli che sembrano doni votivi. L`idea d`insieme e`quella di una rockstar sul palcoscenico, aggredita dai fans. Ai suoi piedi un secchio pieno di verdume scuro. Sembra una sputacchiera, il sembra durerà davvero poco. Di fianco al tavolo un signore mi guarda, immobile. Alla mia sinistra c`è Lele, rassegnato. Forse ha gia`capito. Dall`altra parte una ragazza mastica, anzi no: "chupa". Il pavimento della stanza è bagnato a chiazze; guardo il soffitto, asciutto. Nella stanza non piove, o comunque non piove acqua, e comunque non dal cielo, questo e`certo Siamo in 12, 13 persone nella stanza. Forse 17 in tutto, cambi compresi. Ogni tanto c`e`una sostituzione, ma non capisco ancora il gioco, non vedo l`allenatore. Finalmente si dettano le regole Un sachetto pieno di foglie, uno a testa: sono foglie di coca. Scegliere 6 foglie, le più belle, intere, senza crepe o schegge. Metterle con cura davanti all`altare. Mettere l`incenso sulle braci e, dopo averlo diffuso con ampi gesti religiosi, soffiarlo verso l`immagine della Vergine. Mi fanno vedere come si fa, provo, sbaglio la sucessione, mi scuso. Non c`e`problema: rifare. Nel frattempo, da un barattolino che credo essere pieno d`acqua, verso, come da istruzioni ,2 gocce, sia da una parte che dall`altra della Vergine, sul pavimento. Fine della premessa. Mi fanno altre domande, rispondo bene: bravo, annuiscono sorridenti. Poi mi chiedono se sono religioso, se credo nella Vergine, io abbasso lo sguardo, prendo tempo. Nel silenzio che si e`creato guardo il mio sachetto di coca, pieno. Ho già tolto le 6 foglie piu belle, ho fatto la mia parte e sto per appoggiarlo, senza riflettere. La ragazza alla mia destra, Dinca, con un verde sorriso mi indica la sua guancia,gonfia. Ferma nel suo proposito mi guarda e teneramente dice: "chupa!" Prendo alcune foglie, tolgo il gambo, le metto in bocca. Muovo la mascella come per masticare, mi viene naturale, e Dinca, attenta: "Mettile sulla destra, nella guancia, e "chupa". Faccio il bravo, eseguo gli ordini, ma non è sufficiente: "Più foglie, forza!" Eseguo, poi mi concentro sul sapore, di erba o foglie. Niente di particolare. Non provo niente. Dalla coca alla cocaina e i suoi effetti ci passano di mezzo almeno mezza tonnellata di foglie, qualche ettolitro di cherosene, qualche altro di acido cloridrico, raffinazioni, altri prodotti chimici, ecc. Per farne un kg. Però in Italia non masticavo coca, qui sì, e mi godo una legale infrazione. Qui la usano per celebrare o per chetare i morsi della fame e i rigori dell`altitudine. Io per curiosita`. Chupo, guardo i miei amici, ora chupano anche loro. E si chiacchiera in una strana mistura di spagnolo e italiano. Entra anche una donna con una caraffa, a riempire i bicchierini che ci erano stati consegnati. Nella caraffa ci sono alcool, zucchero di canna e qualcos`altro: la donna entrera`molte altre volte nella stanza Qualche pensiero alla Vergine, poi i ringraziamenti, poi gli auguri reciproci: "che te vada bien el viaje, la salud, in amor...". Si versa tutti un po`di alcool per terra (io un pò più degli altri. Alla Vergine e poi alla Pachamama!?! (Madre Terra). Adesso comincio davvero a dare un senso all`espressione sincretismo religioso. E si beve. Non so quanti bicchierini ho bevuto, ricordo però che tutti i miei tentativi di far cadere il bicchiere, di lasciarlo pieno, di saltare il giro, erano andati falliti. La serata continua, ma qualcuno di noi comincia ad avere voglia di andarsene. Questa volta sono anch'io tra quelli. I primi segni di cedimento nei nostri sguardi, e poi, decisi, tiriamo fuori le scuse: si e`fatto tardi, il viaggio lungo alle spalle, l`autobus del giorno dopo, ho scordato il portafoglio al ristorante. Mi faccio avanti, ringrazio prima di andarmene. Mi rimettono a sedere, non ho le carte in regola, non posso andare. Non capisco. Mi fanno capire loro: il mio sacchettino di coca non è vuoto. Preciso, è quasi pieno. E qui saltano fuori le ultime due regole della celebrazione: per rispetto e tradizione non ci si alza senza prima aver finito la coca e avere restituito il sacchettino vuoto. Rispetto per la Vergine e la Pachamama. Non ce la posso fare, non ce ne possiamo andare. E qui capisco il significato dell`amicizia, il sacrificio per gli altri: Emanuele mi prende il sacchetto, il suo era già finito, si fa venire una guancia come un pallone, la fa venire anche ad Andrea. Ho il cuore colmo di gioia, siamo liberi!
TEMA: L`alunno descriva in modo esauriente (o esaustivo?)il viaggio intrapreso nel periodo 10/08/04 - 12/08/04 con partenza da San Pedro de Atacama,Cile e arrivo a Uyuni,Bolivia.SVOLGIMENTO: io e gli altri 5 ragazzi sul fuoristrada siamo partiti alle 8.30. Siamo passati dalla Laguna Verde (a causa dell`ossido di rame), con l`acqua che cambia colore quando è mossa dal vento. Il Vulcano Licancabur sullo sfondo. Poi siamo passati dal deserto con le rocce di Salvador Dali`, poi dalle acque termali,dove qualcuno si e`lavato i piedi, poi dai geysers, poi dalla Laguna Colorada, bellissima anche lei, poi dal villaggio di San Juan, piccolino, poi dal Salar de Uyuni, bianco, con dentro un appezzamento di cactus. Poi siamo arrivati a Uyuni. E`stato tutto bellissimo e mi sono divertito un sacco.VOTO 4/5Pur dimostrando di avere prestato attenzione alle spiegazioni occorse durante la gita in macchina,l`alunno e`pero`caduto in uno svolgimento troppo frettoloso dell`elaborato. Numerosi sono i punti salienti non toccati nella composizione.Eccoli:la giornata era splendida, vedevamo le nuvole fare strani disegni sulle montagne, i nostri occhi erano pieni di meravigliosi paesaggi. Tutto sembrava andare per il meglio, ma il torto che mi ha fatto non glielo perdonero` mai.Ci eravamo fermati in un villaggio a fare provviste personali, il che significa a comprare qualche porcheria che ci tenesse compagnia durante il viaggio, zuccheri insomma. Guardo negli scaffali di una botteguccia, anzi, della botteguccia; le solite galletas, scatolette, qualche biscotto di quelli sani, pochi grassi, tipo Oro Saiwa, che da loro, in Bolivia, prendono l`innocente nome di "Maria". Poi finalmente vedo fare capolino da un barattolo lei, la mia donna, una barretta di cioccolato bianco di marca sconosciutaBella soda e perfettamente solida, nonostante il caldo del deserto. Rimango ammirato, sbalordito. Neanche un accenno di scioglimento, che grazia! Il costo non e`proibitivo,la compro. Insieme a un pacchetto di biscottiTorno al fuoristrada, sono l`ultimo e gli altri mi stanno aspettando. Saluto tutti ebbro di gioia. Apro il pacco di biscotti, siamo in sette e ne offro. Voglio fare bella figura e al contempo salvare la mia bellaI biscotti finiscono: è il dramma. Ho fame,ho sempre fame, non e`colpa mia. Aspetto un attimo, faccio finta di niente, getto lo sguardo dietro. Qualcuno sonnecchia, qualcuno ha lo sguardo fisso immerso nei propri pensieri. Il momento sembra propizio, sono, in un certo qual modo, solo.Prendo la mia donna di cioccolato bianco e le cavo il vestito, cattivo. Sto per usarle violenza, mi fermo. Lui ha ruotato le palle degli occhi. La sua espressione e´immobile, fissa sulla strada, ma lui mi ha visto, lo so.Lui, che chiameremo Roberto (anche perche´si chiama Roberto) e´il nostro autista.Piccolo, scuro in volto (in tutti i sensi) non ha quasi mai distolto gli occhi dalla strada da quando siamo partiti. Sono di fianco a lui, davanti, per fare le foto.Ho cercato infinite volte di farlo parlare,niente. Di ridere,niente. Solo una volta mi ha aperto il suo cuore:"Roberto, siamo in pieno deserto, decine di piste diverse, in tutte le direzioni, nessun segnale, + di un giorno di fuoristrada per arrivare ovunque. Ma come fai a non perderti?" Mi guarda sornione:"Tutte le strade portano a Roma". Detto da un Boliviano di Uyuni, gli credo. Inquietante !Ora Roberto sta ancora guidando. La mia donna di cioccolato bianco é stretta tra le mie mani, nuda. Lui, gelido, non una smorfia. Riguardo lei, ignaro, una volta ancora. Rifletto. Tra compagni d´avventura si divide tutto, gliela offro."Roberto, ne vuoi un pezzo?" Lo guardo, mi guarda, me la prende: e´sua. Se la mette in bocca direttamente, senza fare domande. Un pezzo, due pezzi, altri ancora, e´finita. Il suo vestito macchiato di grasso, oltraggiato, cade a terra. Sono perso, distrutto, non ho più lei, ho ancora fame. E dopo? Dopo ci sono state le vigogne libere, la brina mattutina nel deserto, Roberto che accelera l´andatura improvisamente, come per vincere una gara contro i propri fantasmi. A tutto volume la musica Boliviana dei Los Kiarkas e la Lambada.Roberto ora parla, scherza, non capisce un cazzo di Italiano e risponde in spagnolo a domande che nessuno gli ha fatto. L' atmosfera e´serena e allegra ora, compliceDi lei rimane solo il dolce profumo nel fiato di Roberto. Sacrificata per il bene comune. Piccola Giovanna D´Arco di pasta di cacao. Bianco. Mi mancherai.Forse preferivate che vi raccontassi di quella notte passata a 4300m di quota, con la testa che mi scoppiava per la carenza d´ossigeno. E Jesse che, gia´ubriaco, mi diceva: "Prova questo che ti aiuta,prova". Whisky,un bicchierino,non vi racconto dopo...bastardo!O magari preferivate sapere del corso di cucina americana a San Juan, 20 famiglie, 0 uomini di giorno, 2 fornelli, una ventina di donne, quaderni d´appunti, mayonese, ketchup. Io che entro, curioso, la gente che mi guarda, curiosa. Qualche timido sorriso.Poi, le stesse mani che stanno sistemando la stanza, scopando, appoggiate di qua e di la´, prendono un pezzo di carne, che non e´ carne, lo mettono nel pane e me lo offronoScuola di cucina americana, hamburger...di lentejas, questo e´il loro compito in classe:"mangialo, e´buono"Chiamo a raccolta tutti i miei anticorpi, terrorizzati, mi concentro, nella mente il film di Indiana Jones e il tempio maledetto, quando lui dice a Wendy "te lo stanno offrendo...questa gente non ha altro da mangiare...", o qualcosa del genereHo mangiato, sono ancora qui che scrivo, e´andato tutto bene. La verita´? Non era male.